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giovedì 28 aprile 2016

La casa delle bambole

-Uffa, i genitori di Laura le hanno regalato una grande casa per le bambole. La voglio anche io!- piagnucolò Emma entrando in casa e sbattendo la porta d'ingresso. Era appena stata a casa della sua amichetta del cuore, con la quale si conoscevano fin da piccole e le aveva mostrato orgogliosa il suo regalo.
-La voglio bianca con il tetto rosso. Quella di Laura ha anche la soffitta, ma non il giardino intorno. Io voglio quella con il giardino e la piscina! E dai mamma!-
Emma era davvero insopportabilmente rompiscatole e la madre era così tanto abituata che aveva imparato ad ignorare le sue insistenti lagne, ma alla fine cedeva sempre e finiva per accontentarla.
-Avrai la tua casa delle bambole con il tetto rosso, giardino, piscina, attico e tutto quello che ti pare, ma non prima del tuo compleanno-
-Ma è tra due mesi!- sbottò Emma
-Due mesi passano in fretta, impara ad essere paziente ed ora aiutami ad apparecchiare per cena-


Emma si girava e si rigirava nel letto. Non riusciva proprio a dormire. Non vedeva l'ora che arrivasse il suo compleanno per scartare il più bel regalo della sua vita. Avrebbe avuto una casetta per le bambole tutta sua e sicuramente sarebbe stata più bella di quella della sua amica. Aveva già deciso che l'avrebbe arredata in stile moderno, probabilmente sui toni del bianco o del panna. All'emporio delle bambole aveva visto in vendita i piccoli complementi d'arredo fai-da-te: li avrebbe assemblati con la colla e successivamente colorati con le tempere. Avrebbe realizzato da sola i tappeti e le tendine con dei vecchi scampoli che la nonna metteva da parte ogni volta che avanzavano dai piccoli lavori di sartoria casalinghi, in modo da personalizzare il tutto e divertirsi ancora di più. Con queste fantasie per la testa, Emma riuscì ad abbandonarsi in un sonno profondo e finalmente si addormentò. Anche nei sogni la protagonista era sempre la sua casetta e le sembrava quasi di avere i piccoli mobili tra le mani e posizionarli nelle varie stanze, giocando a comporre e scomporre il salotto e lo studio, a scambiare il tavolo trasparente della cucina con quello bianco della tavernetta.


Le sembrò di aver dormito un'eternità quando improvvisamente avvertì una forte scossa che la fece ribaltare dal letto. Sbarrò gli occhi in preda al panico e si accorse di trovarsi riversa sul tappeto della sua cameretta, faccia a terra. Il pavimento sotto di lei ondeggiava terribilmente. -Il terremoto!- Esclamò -Mamma, mamma aiuto!-
Tutto intorno a lei si muoveva. Gli occhi piano piano si abituarono all'oscurità ed Emma riusciva a distinguere una ad una le cose intorno a lei.


-Signora, direi che questa è la più bella che il nostro negozio ha in vendita. È curata nei minimi dettagli, ha il giardino, la piscina e un garage adiacente. È l'unica che ha un piccolo impianto di illuminazione in tutte le stanze- così dicendo il commesso sfilò via il lenzuolino che copriva la grande casa delle bambole dal tetto rosso, pigiò un interruttore nero posto alla base e la casetta, come per incanto, si illuminò a festa.
-Ma è davvero graziosa e immensa! Per la mia Emma sarà una sorpresa che la lascerà senza fiato. La compro immediatamente!-
Il commesso, con un sorrisetto beffardo e  soddisfatto per la vendita appena conclusa, afferrò la casa e la portò su un carrello.
-Benissimo, ottimo acquisto. Le faccio un pacco regalo- disse allontanandosi.


Emma si guardò intorno spaesata e impaurita. Tutto continuava a muoversi e anche lei si ritrovò a rotolare più volte sul pavimento. Improvvisamente la stanza si illuminò. Emma pensò che la madre fosse corsa da lei dopo le sue urla e finalmente si sentì al sicuro. In camera, però, non c'era nessuno, la luce si era accesa da sola ed Emma rimase impietrita quando si rese conto di non essere nella sua cameretta. Si guardò intorno: le pareti erano di colore rosa chiaro, c'era un armadio bianco a tre ante con delle orribili decorazioni rosa scuro e delle maniglie un po' storte. Il tappeto su cui era caduta aveva una consistenza quasi spugnosa ed era pieno di polvere, come se qualcuno avesse rovesciato sopra della cenere. Seduta guardava dal basso quello che sarebbe dovuto essere il suo letto. Lei e la mamma lo avevano scelto due anni fa in una grande esposizione di camerette ed era uno tra i più particolari: aveva la base tutta verde e le testiere piene di fiori e farfalle in rilievo. Quello che c'era ora accanto a lei non somigliava minimamente al suo letto: era tutto color legno chiaro, grezzo e più piccolo.
-Ma che cosa sta succedendo? Dove sono? Mammaaaa?- si chiese spaventata Emma. Più si guardava intorno e meno familiari le risultavano i mobili e gli oggetti. Persino i poster al muro: erano dei ritagli di un vecchio giornale che ritraevano attori o cantanti in bianco e nero appiccicati con una grande striscia di scotch trasparente. Intanto le scosse erano terminate e tutto era tranquillo, troppo tranquillo. Emma si alzò dal tappeto con il cuore che le batteva a mille. Era confusa, preoccupata, impaurita. Dov'era la sua mamma? Perché era in quella stanza? Qualcuno l'aveva rapita durante la notte? E quel terremoto?
Si voltò a sinistra, pose la mano su una maniglia trasparente, la abbassò e tutta tremante aprì la porta.


Il commesso spinse il carrello di metallo verso una stanza piena di cianfrusaglie. Rovistò tra gli scatoloni e recuperò una vecchia scatola completamente anonima. Poi, da uno dei cassetti della scrivania, scelse un lungo nastro rosa e un fioccone gigante.
-Mi scusi, prima di fare la confezione regalo vorrei dare un'occhiata più approfondita ai dettagli. È così carina!-
-Certo signora. Faccia pure- rispose educatamente il giovane.


Con un sibilo la porta si aprì. Emma si fece coraggio e fece qualche passo in avanti. I muri erano verdi e la stanza era un po' più grande di quella dove si era risvegliata qualche minuto fa. Al centro c'era un grande pianoforte a coda tutto bianco, a sinistra , addossato alla parete, un divano di stoffa trapuntata con un simpatico motivo a pois bianco e verde. Emma si avvicinò verso il pianoforte per vederlo da vicino. Lo sfiorò con le dita sempre vibranti per la paura e notò che non era liscio come quello che aveva visto una volta in un ristorante. A dire il vero non era nemmeno verniciato nè smaltato. Ci girò intorno e si andò a sedere su un esile sgabellino con un cuscino imbottito e tutto impolverato. Sollevò il coperchio, ma scoprì una tastiera totalmente finta. Era stata sostituita da una stampa di carta sgualcita ai bordi che riportava tasti bianchi e tasti neri che non si potevano suonare. Emma scattò in piedi come una molla e con le lacrime agli occhi iniziò convulsamente a toccare tutto quello che c'era nella stanza: il divano, i quadri, le sedie, il tavolino con le riviste. Tutto orrendamente finto. Aprì un'altra porta, percorse cinque gradini e scese di un piano cercando l'uscita, ma si imbattè in un'altra stanza rettangolare: una cucina completa di tutto e finemente arredata con un piano cottura, tv, isola all'americana, forno, frigorifero. Emma si avvicinò a guardare ogni singolo complemento piena di orrore e paura, capí che era tutto finto!
-Nooooooo!!! Aiutooooo! Fatemi uscire di quiiii!!- Ma più la povera piccola urlava e piangeva, più la sua voce si affievoliva e mani, piedi, capelli, occhi, bocca acquistavano una consistenza rigida, materiale, di plastica.


-Oh, mi piace proprio tanto. Tutte le stanze sono complete di mobili ed oggettini. È pazzesco c'è anche un pianoforte!-
-Si signora e se guarderà più attentamente in una delle stanze troverà anche una bambolina così precisamente scolpita che sembra quasi reale- disse il commesso guardando la signora dritto negli occhi.
-Dovrò pagare una cifra in più per la bambola? Quanto costa?-
-No signora. Diciamo che è...un omaggio della casa. Ahahahahahahahahahahaha!-

mercoledì 27 aprile 2016

Ereignis: brevi considerazioni su un piccolo capolavoro

SINOSSI DEL REGISTA:
“Una piccola imbarcazione con a bordo gli abitanti in fuga da un villaggio lontano, in piena notte, naufraga a causa di una tempesta. La luce del giorno svela i resti disseminati lungo la scogliera.
Tre visitatori giunti nel paesino disabitato sono pervasi da un senso di incredulità e di smarrimento. Nessuna domanda troverà una risposta. Nessuna stella sarà in grado di orientarli.”

Oggi mi ritrovo a scrivere qualche breve considerazione personale su “Ereignis”, il cortometraggio nato dalla collaborazione tra Pierfrancesco Gatto e Davide Mellone in concorso al festival del cinema europeo appena concluso.

Non credo si possa considerare un’opera immediata. Al termine della visione è stato necessario rivederla da capo per cominciare a farmi un’idea del messaggio e del significato che il regista ha desiderato trasmettere, ed è stato necessario rivederla una terza volta per coglierci le sfumature, apprezzare i preziosismi e rendermi conto che non era il suono del mare o lo scricchiolio di una vecchia imbarcazione a fare rumore, ma solo l’improvviso risveglio delle nostre coscienze.

Ereignis si divide fondamentalmente in tre momenti: una parte iniziale buia e tempestosa, ma carica di speranza. Una parte centrale, luminosa e incantata ma intrisa di morte e desolazione. Una parte finale che chiude il cerchio e allo stesso tempo apre numerosi interrogativi.

Il regista rimarca costantemente le antitesi che governano l’uomo e la sua storia, ma lo fa in maniera nuova, sottile, apparentemente innocua e allo stesso tempo letale. Si serve dell’uomo stesso, ora protagonista, ora spettatore disinteressato, ora spettatore sbigottito e inerme.
È proprio questo susseguirsi di prospettive e quindi di emozioni che sorprende, è sbalorditivo come questi ragazzi al loro primo lavoro riescano in soli otto minuti a rapire la nostra interiorità, veicolarla tra astrattismo e metafora e restituirla inquieta, scioccata, sconcertata. 
O forse, più semplicemente, sorprende come siamo disposti a restare inerti dinanzi a drammi che dovrebbero sconvolgere anche il più insensibile degli uomini.

Non mi dilungo ulteriormente e soprattutto non voglio svelarvi la trama. 
La sinossi del regista è più che sufficiente per capire quale sia lo spirito giusto per predisporsi alla visione. Il mio consiglio è solo quello di vederlo (e rivederlo se necessario). 
Il resto verrà da sé. 



martedì 26 aprile 2016

La buona scuola... alla Nutella

È la mattina dopo la festa della Liberazione, si rientra a scuola dopo che anche la vittoria del quinto scudetto consecutivo della Juventus è passata quasi in sordina (oramai, non fa più notizia); sembrava una mattina come le altre ma avrei dovuto presto, piacevolmente, ricredermi. Non sono solito scrivere post di riflessioni o introspettivi, ma oggi ci sta (non preoccupatevi, a breve farò nuove verifiche).

Era finita la prima ora e mi dirigevo verso la 1L; dal corridoio vedo però che chiudono la porta dell'aula... L'inizio della settimana è devastante e non ho avuto nemmeno la forza di pensare "ma che stanno combinando?!"... Mi aspettavo di trovare chissà quale casino ma aperta la porta ritrovo tutti in piedi ai loro posti che mi accolgono quasi fosse il mio compleanno e sulla cattedra vedo un bel rotolo alla Nutella, su un vassoio, con un "biglietto" vicino.
Superfluo dire che ci ho messo un poco a realizzare il tutto. Però ero contento. Tantissimo! Molto probabilmente non è sembrato nulla (il mio ruolo me lo impone.... no, dai, sono io che non sono molto bravo in queste cose) ma è stato ciò che ci voleva per trasformare una grigia routine in un qualcosa di unico.
Certo, il loro gesto era palesemente interessato (come scritto sul foglietto, non volevano essere interrogati) ma secondo me questo fine era molto secondario: quando mai ai miei tempi ci saremmo sognati di fare una cosa del genere? E poi, seppure lo avessimo fatto, avremmo scelto come destinatario di questa attenzione il/la prof che più ci stava a noia?

Mi piace pensare che questo gesto sia frutto di ciò che in poco tempo (sono andato da loro poco dopo le feste di Natale) si sia instaurato con questo gruppo classe; rispetto, fiducia e stima reciproca, il clima ideale per portare avanti un percorso di crescita bilaterale (io cresco e imparo con e da loro, tanto quanto loro con e da me). E spero che sia riuscito a creare un ambiente simile anche in tutte le altre MIE classi.

Leggevo qualche tempo fa che "il destino della scuola è legato alla passione degli insegnanti, alla loro convinzione nel valore della cultura e delle materie che insegnano"; la scuola di questi tempi invece va a rotoli (e purtroppo non con la Nutella) e tutto diventa un vuoto susseguirsi di lotte per non annaspare in un mare in tempesta. A breve ci sarà un concorso (l'ennesimo, per chi ha fatto tanti sacrifici per abilitarsi ed ora si ritrova al punto di partenza) e si andranno a scegliere i vincitori su prove fredde e immateriali. A che serve che un professore sappia a memoria ogni singolo comma di una legge se poi in aula non viene rispettato perchè non è in grado di gestire gli alunni? A che serve che conosca l'intera sequenza del DNA se poi non sa dire che 2+2=4? La buona scuola siamo noi, nel momento in cui vogliamo essere al fianco degli alunni per portarli nel mondo e non chiuderci dietro una cattedra tra i cavilli di un decreto o nelle reminiscenze del passato.

E qui concludo, dopo lo sfogo, ripensando a questa mattina... A quel gesto che ancora di più mi fa venire la passione per questo "lavoro"  e mi spinge ad essere sempre il meglio per loro, i MIEI alunni... Anche se non vogliono essere interrogati... La "corruzione" non è mai stata così dolce come in questo caso (specie se gustata assieme a loro).

lunedì 25 aprile 2016

Cara vecchia TV... Siamo alla frutta?

Se è vero che “La Bellezza salverà il mondo” (Cit. d’Autore), la TV italiana, scevra oramai di qualunque forma di bellezza, è ben lontana dall’essere salvata… Anzi, a mio modesto parere, essa ha da tempo raschiato il fondo e all’orizzonte non si intravvede possibilità alcuna di Resurrezione.    
Una TV che nel 2016 si permette di trasmettere ancora reality show (il Signore Iddio possa punire chi ha introdotto il genere in Italia!) o, se possibile, brutte e sbiadite copie di essi, è una TV che non vuole crescere, non vuole liberarsi dalle zavorre di programmazioni figlie di infelici idee di autori televisivi senza scrupoli né ritegno alcuno...
Mi soffermo, giusto per fare un esempio concreto, sulla puntata del programma “Isola dei Famosi” (tutt'ora in onda) di qualche settimana fa… Quando è andata in onda, penso di poterlo dire, una delle pagine peggiori in cui la TV italiana si sia mai imbattuta! Uno “spettacolo” che ha dato parecchi spunti di riflessione. Nelle tre ore e passa di diretta, si è succeduta una sequela di eventi scabrosi ed indecorosi, da condannare senza appello. Violenza gratuita e predeterminata, scene di nudo quasi “indotte”, prove da superare banali, viste e riviste, trite e ritrite…
Sono queste, dunque, le grandi idee degli autori televisivi italiani? Siamo davvero alla frutta? Niente di nuovo all’orizzonte?    
Questo e molto altro (sempre peggio!) si susseguiva sotto lo sguardo compiaciuto e bramoso di “ascolti”, ma apparentemente senza colpe alcune, di conduttori e, appunto, autori televisivi, che hanno messo in campo il peggio del peggio... 
Una serata ansiogena e disgustosa... 
Una TV, quindi, fucina oramai di “bruttezze” e di tanta, troppa spazzatura che il pubblico, onestamente, non merita. Una TV che non riesce a rialzarsi... Che brutta copia di quello che era! (Cit. d’Autore 2). 
Prospettive di miglioramento? Sinceramente poche. Almeno fin quando si continuerà a percorrere questa via. 
Questa mia visione distopica è frutto della consapevolezza di una scarsezza assoluta di “menti” prolifiche, di idee di addetti ai lavori veramente meritevoli di rivestire tali ruoli.    
Mettendo da parte Bonolis (lo ammetto, a volte esagera un po’… ma avercene di geni così!) e Chiambretti (la cui pungente ironia e irriverenza, però, trovano il loro terreno congeniale più nella seconda e terza serata, che non nella prima), azzardo dicendo che alla televisione italiana resti ben poco, ad oggi, di cui andare fiera. 
Proposte imminenti? Eliminare ogni forma di reality show e pseudo tali; reintrodurre il varietà, il quale consta sì di semplicità, ma anche di pulizia, serenità e brio da troppo tempo sopiti. Ed in primis, puntare finalmente su veri talenti creativi, su gente che abbia davvero qualcosa di nuovo da offrire; puntare sul talento, in tutti i settori. Partendo proprio dagli autori televisivi, colonne portanti dell’intera macchina televisiva. 
Concludo con una domanda provocatoria. 
Servirà forse proprio un ultimo, grande reality per ricercare i nuovi pensatori della TV? Per scovare nuovi talenti creativi, nuove e fertili menti da porre al servizio della “grande malata” televisione italiana? 
Pensateci…..

sabato 23 aprile 2016

Hamburger alla Mastro

Nell'immaginario collettivo alla parola fast food si associa subito l'idea di un succulento hamburger; tuttavia questo piatto dal passato "movimentato" può essere visto anche come una pietanza dai toni gourmet.
Va da sè che non voglio assolutamente fare una di quelle miniporzioni concettuali che servono solo a sporcare il piatto e lasciarti il vuoto (nella pancia e nel portafoglio); la mia intenzione è quella di far sì che con poca fatica e poca spesa ci si possa preparare un hamburger sano e nutriente (sicuramente senza ombra di conservanti e altre schifezze artificiali che si trovano in quelli delle grandi catene).

Innanzitutto partiamo dalla polpetta, l'anima dell'intero piatto: al macinato di manzo ho aggiunto un trito di cipolla (per mantenere tutto sempre succoso), prezzemolo, salsa di soia (al posto del sale, per aumentare anche l'umami), granella di pistacchi e varie spezie (tra cui paprika e curry, le restanti sono coperte da Segreto di Stato). Impastato tutti gli ingredienti si passa alla cottura. Questa è una fase delicata perché vogliamo che l'hamburger sia cotto all'internto ma che non diventi asciutto (fondamentale perché ogni polpetta che faccio io non pesa mai meno di 300g); per questo dopo aver scaldato la piastra a fuoco basso, ho messo del sakè e coperto con un coperchio per far avvenire una lenta cottura al vapore. Solo quando esso è cotto, lo si può grigliare per dare il tipico sapore a cui siamo tutti abituati.

A questo punto possiamo solo sbizzarrirci a costruire il panino (preferibilmente fatto in casa o in stile puccia salentina) con tutti i possibili accompagnamenti. Una coppia davvero insolita ma strepitosa è brie e salsa al rafano, che vanno sul fondo del panino e su cui adagiare l'hamburger; poi ho scelto di mettere dei funghetti trifolati al momento e flambati con il whiskey, delle succose fettine di pomodoro sulle quali è spontaneo il contrasto con la pancetta croccante, una foglia di insalata (per rimanere leggeri) e una spruzzata di salsa bbq...

Ovviamente il tutto non va mangiato "a secco" e di sicuro un abbinamento di successo è con una buona birra (se siete homebrewer come me, bevete una delle vostre produzioni) artigianale, preferendo uno stile quale IPA o APA che con le note agrumate dei luppoli americani e la bevuta leggera e amarognola, ben si prestano a sgrassare il palato e aumentare l'appetito.

venerdì 22 aprile 2016

For those about to rock (we salute you) ?

Ciao gente, oggi parliamo di una band che ha fatto la storia del rock, di una band che, partita dalla terra dei canguri, ha conquistato il mondo con canzoni cariche di energia e uno stile unico. Parliamo degli AC/DC, gruppo hard rock fondato nel 1973 a Sidney dai fratelli Young (Angus e Malcom, rispettivamente prima e seconda chitarra). 
Chi di voi non ha avuto il desiderio di suonare la chitarra come Angus Young o di cantare a squarciagola come Bon Scott o Brian Johnson? Chi di voi non si trasforma in rockstar ogni volta che ascolta “Highway to hell” o “Thunderstruck”?
Bene, dopo più di 200 milioni di dischi venduti in tutto il mondo, la band sembra essere arrivata al capolinea…nel peggiore dei modi.
Gli AC/DC hanno iniziato la loro ultima tournee mondiale con una formazione rimaneggiata, dopo i problemi di salute del secondo chitarrista, Malcom Young, e quelli legali del batterista, Phil Rudd (pare che abbia commissionato un omicidio). Purtroppo i guai non sono finiti qui e pochi giorni fa è comparsa una comunicazione sul sito ufficiale della band, circa l’aggravarsi dei problemi all’udito di Brian Johnson e il suo conseguente ritiro dalla tournee. Brian Johnson iniziò la sua carriera da frontman degli AC/DC nel lontano 1980, subentrando dopo la tragica morte del mitico cantante Bon Scott. C’è chi entra timidamente e in punta di piedi nella scena del rock e c’è invece chi, come Brian Johnson, esordisce con un album da 50 milioni di copie vendute, “Back in black”, pietra miliare del rock. Dopo 36 anni di onorata carriera, questo mostro sacro è costretto ad abbandonare il palcoscenico tra le tante lacrime di fans e appassionati di musica in genere, lasciando Angus Young ed il bassista Cliff Williams come unici superstiti del gruppo. Ma non è finita qui, anzi arriva il peggio. I fans non hanno fatto in tempo ad asciugarsi le lacrime, che sono stati colpiti da un nuovo e più potente pianto, questa volta isterico. Chi sostituirà Brian Johnson nelle date estive della tournee? La risposta è: Axl Rose, che ha “gentilmente” offerto il suo supporto alla band. Immagino che tutti conoscano Axl Rose, voce inconfondibile dei Guns N’Roses, famoso per i suoi acuti così come per i suoi abusi di alcol e droga, che hanno portato al catastrofico scioglimento di una delle migliori band heavy metal degli anni ’80-’90. 
Immagino che moltissimi fans degli AC/DC abbiano "accolto" Axl Rose con uno dei suoi pezzi più famosi e cioè “Welcome to the jungle”.

Alla luce di tutto ciò, la domanda sorge spontanea: sarà la fine degli AC/DC? Siamo ai saluti?

“Don’t cry” caro fan! Come canta il buon Neil Young: “Rock and Roll can never die”.

In bocca al lupo Brian Johnson.


Deg

giovedì 21 aprile 2016

Disfare l'arcobaleno


Se tu mi chiedessi qual è il mio colore preferito, io ti risponderei l'arcobaleno.
I camaleonti lo invidiano, sai?
E anche i fantasmi. Si arrabbiano, perché anche lui è uno spettro,  ma non fa paura a nessuno.

Il temporale era stato così intenso che l'aria pizzicava di ozono e terra bagnata.
Mi sfilai le scarpe, intrecciai alla rinfusa i capelli resi ancora più crespi dall'umidità, presi la rincorsa e puntellai le dita appena sul bordo umidiccio del violetto. Rimasi così, appesa in bilico per qualche istante. Quell'abbonamento in palestra mai fatto si faceva sentire sui muscoletti delle braccia che cedevano e non mi aiutavano ad arrampicarmi. Uno slancio in piú con le gambe e a fatica riuscii a salire. Respirai profondamente due, tre, forse quattro volte, perchè mi sembrava che l'ossigeno si fosse vaporizzato.
Mi ero impiastricciata le mani di viola e nell' arrampicarmi avevo disfatto l'indaco e il blu. Ripresi l'equilibrio. Ero decisa a proseguire. L'imperativo categorico era di non guardare giú e di concentrarmi sul percorso da fare. Guardai dritto avanti a me e arricciai gli occhi per focalizzare un punto più lontano possibile. Mi aspettavo di vedere la fine dell'arcobaleno, ma ahimè i colori sembravano estendersi all'infinito senza un punto di arrivo. Alla mia destra erano lì, uno accanto all'altro quasi come le bolle di colore che la maestra preparava all'asilo prima di iniziare a dipingere il cartellone delle stagioni o le bandierine per l'addobbo di carnevale. Ero una frana nel disegno. Uscivo sempre fuori dai contorni, forse perché non mi piacevano le linee nere o semplicemente dovevo passarci su, quasi a farle scomparire e inevitabilmente i miei disegni erano sempre i più imperfetti della classe. A pensarci bene credo di non aver mai avuto una spiccata vena artistica, piuttosto mi piaceva scrivere e recitare le poesie più lunghe e difficili e in questo battevo sempre tutti i miei compagni di scuola.
Iniziai a canticchiare una filastrocca. Ero felice di essere arrivata lí, spinta dalla curiositá e dal coraggio. Saltellai tra il verde e il giallo con un piede solo, poi mi spostai sull'arancione a piè pari, ritornando sul verde. Sul rosso mi fermai come sull'orlo di un precipizio e decisi per il momento di non saltarci su: l'entusiasmo di un passo falso mi sarebbe senz'altro costato la pelle. Proseguì in avanti dando una sequenza ordinata ai salti che facevo, sillabando le parole della filastrocca e modulando il tono della voce su una melodia che non ricordo bene se l'avessi già sentita o se la stessi improvvisando in quel momento come si faceva nel gioco della campana.
 Ero in salita e non me ne rendevo conto, l'arcobaleno sotto i miei piedi era soffice, mi solleticava le dita e le avvolgeva con millemila sfumature di colori. Quelli primari si erano inzuppati con i secondari, si erano fusi insieme e avevano dato vita a dei ghirigori astratti. Mi parve di rivedere quelle decorazioni tipiche dei vetri di Murano. Mi divertiva l'idea di avere ai piedi un souvenir dall'arcobaleno, in pratica non mi sarei lavata più i piedi per il resto dei miei giorni.

Con il sole alle spalle, con i colori ai piedi e con un sacco di curiosità arrivai alla porzione di arcobaleno più alta, dove sarebbe iniziata la discesa verso la parte opposta. Mi voltai indietro per vedere cosa avevo lasciato alle mie spalle e per calcolare indicativamente quanta strada avevo percorso, ma quello che vidi mi sorprese non poco. I colori si stavano lentamente affievolendo e nello sbiadirsi lasciavano nell'aria puntini finissimi che scontrandosi con la luce del sole creavano un pulviscolo brillante, simile a frammenti di diamante.
Non c'era tempo per contemplare l'aria. Mi girai nuovamente verso l'arco in discesa, ormai il verso giusto sarebbe stato solo quello, ma prima di tornare con i piedi per terra mi resi conto di non aver mai guardato in su. La paura di cadere aveva costretto mentalmente i miei occhi a non guardare mai giù, ma nemmeno in su: sulla mia testa si spandeva un cielo trasparente e deterso dalla pioggia appena passata, che aveva, ancora per poco, restituito al mittente il grigiore e le impurità. Il cielo è l'unico testimone perenne del miracolo della vita che si rinnova, sotto i suoi veli sono passati eventi importanti, rivoluzioni, evoluzioni, guerre, gioie, conquiste. E lui è sempre lì a far da tetto, a proteggerci. Mi aveva accompagnato silenzioso anche in questa mia passeggiata e sicuramente aveva protetto anche me in questa avventura che volgeva al termine.

Entusiasta per questa insolita esperienza, immaginai per un attimo di attendere il mio turno come si fa sugli scivoli dell'acquapark con l'entusiasmo di chi non vede l'ora di assaporare il brivido del divertimento. Mi posizionai seduta sul verde, gambe distese e piedi a punta di martello. Incrociai le braccia dietro la nuca e mi lasciai scivolare giù. La velocità della discesa mi scompigliava le ciocche dei capelli ormai sciolti e l'aria fresca mi avvolgeva contromano quasi a trattenermi per non perdere aderenza con l'arcobaleno.

Si legge spesso di leggende su cosa ci sia alla fine di un arcobaleno. Durante la mia scalata, mi posi più volte l'interrogativo di cosa avessi trovato al termine: ero pronta a scoprire monete d'oro, cascate magiche, pietre preziose inclassificabili. La mia discesa volgeva al termine e l'inquietudine si stava facendo largo dentro di me. Non ero riuscita a tenere gli occhi aperti, ma in dirittura d'arrivo l'angoscia stava superando il livello di adrenalina e spalancai gli occhi in modo che qualsiasi cosa avessi incontrato nell'ultimo tratto non mi avrebbe colto impreparata.
 I colori diventarono ancora più soffici ed eterei.  Un enorme cuscino bianco attutí il mio arrivo. Ero a terra. Forse. Il mio corpo era una tela di colori. Rimasi per qualche istante immobile con i muscoli in tensione. Un leggero formicolio partí dalle dita dei piedi fino a risalire lungo tutto il corpo. Staccai le mani dalla nuca e avvertì un formicolio ancora più intenso.
 Intorno a me si stava creando un luccichio simile alla scia di colori che avevo lasciato alle mie spalle e lentamente le macchie di colore  fecero spazio a finissimi brillantini che luccicavano su di me.

 Mi guardai intorno per capire dove fossi finita e intorno a me non vedevo altro che soffici cuscini bianchi, come quello su cui ero atterrata io.

La sopravvivenza nella natura


Tornando indietro nel tempo, ho ritrovato questa foto che ho scattato  un pomeriggio di primavera di alcuni anni fa nelle campagne di Nardò.
Ricordo ancora di aver passato alcune ore in compagnia di un mio amico alla ricerca di rapaci da fotografare. Ore di attesa, avvicinamenti al loro habitat senza disturbare la loro quiete, passi lenti e teleobiettivo pronto ad immortalare ogni singolo movimento.
Ero stanco, pronto a tornare a casa, quando da lontano intravedo questa Platalea leucorodia o più comunemente chiamata spatola bianca, che afferra la sua preda per nutrirsi.
Avevo praticamente esaurito la memoria della fotocamera, la prima cosa che ho pensato è stata quella di eliminare le ultime due foto e di rimpicciolire la risoluzione della fotocamera.
Tre scatti a disposizione per poter immortalare il momento in cui la spatola afferra e mangia la sua preda.
Questo è lo scatto più significativo, il momento in cui un animale si sacrifica e l'altro sopravvive.
Il senso di questo articolo?
Non solo una bellissima foto, ma una piccola riflessione che mando a tutti voi lettori.
Gli animali hanno spirito di sopravvivenza, la natura è così.
Qualcuno di noi, si è mai trovato in una situazione di pericolo? Per noi cosa vuol dire sopravvivere?
Oggi, la tecnologia, ci può aiutare a sopravvivere? 
Voglio condividere con voi l'esperienza di un uomo che ha sopravvissuto ad altri uomini sfidando anche la natura. La tecnologia lo ha aiutato?
Walter Bonatti, è stato tra i più grandi alpinisti Italiani. Se qualcuno di voi ha visto il film sul K2 se lo ricorderà. Nel 1954, a soli 24 anni partecipa con altri alpinisti in una spedizione alla conquista del K2.
Lui insieme ad uno Sherpa hanno trascorso un'intera notte a -50°C senza riparo, solo loro, niente tenda, niente sacco a pelo. Solo tanta neve e tanto freddo. Lui cerca di scavare un piccolo cunicolo per potersi riparare un po' dal freddo, ma -50°C sono tanti. 
Lui racconta questa esperienza con una frase:"« Quella notte sul K2, tra il 30 e il 31 luglio 1954, io dovevo morire. Il fatto che sia invece sopravvissuto è dipeso soltanto da me... 
Voi cosa ne pensate?
L'uomo è in grado di sopravvivere come gli altri animali presenti in natura? Siamo ancora convinti che la tecnologia sia indispensabile per la sopravvivenza?
Buona Lettura


martedì 19 aprile 2016

Ereignis! Intervista a Pierfrancesco Gatto e Davide Mellone

Ben ritrovati cari lettori di GenericaMente, oggi per me è veramente un onore e un piacere poter intervistare due promettenti artisti emergenti della nostra terra, Pierfrancesco Gatto e Davide Mellone, rispettivamente regista e videomaker del cortometraggio "Ereignis", in concorso alla diciassettesima edizione del Festival del Cinema Europeo! 
Tra qualche istante leggerete direttamente le loro parole, i loro pensieri, le loro emozioni. 

Ma prima vorrei brevemente presentarveli. 
Pierfrancesco Gatto (24/01/1988) e Davide Mellone (15/03/1990) vengono da Copertino, in provincia di Lecce, paese già noto per aver dato i natali a diversi grandi artisti, specie in campo musicale.
Si conoscono fin dall'infanzia anzi, crescono praticamente assieme tra una corsa in bici e qualche tiro a calcetto. Poi gli studi e le dinamiche della vita hanno fatto sì che si perdessero di vista per qualche anno. Pierfrancesco ha conseguito la maturità scientifica ed è in procinto di laurearsi nel corso di Scienze delle Comunicazioni, mentre Davide dopo aver conseguito il diploma all'Istituto Tecnico Commerciale ha deciso di specializzarsi in quelle che sono le sue grandi passioni: fotografia, riprese e montaggio! 
Da qualche anno le loro strade si sono nuovamente incrociate, come un magico segno del destino, come fosse la cosa più naturale di questo mondo: è nata una bella collaborazione artistica che ha permesso loro di progettare e mettere in piedi diversi lavori. 
Si sono anche dati un nome: "Paiana Pictures".
Si potrebbe pensare che Pierfrancesco sia la mente e Davide il braccio, ma è riduttivo e piuttosto fuorviante considerare tale il loro rapporto. Pierfrancesco è senza dubbio l'ideatore, il genio, la mente creativa, il visionario, colui che cura nei minimi dettagli le inquadrature; ma talvolta risulta essere ancora grezzo e impulsivo nel modo di agire. Come in un meccanismo perfetto Davide colma tali defaillance grazie all'esperienza maturata sul campo e ai suoi preziosi consigli.
Per dirlo con una metafora, Pierfrancesco e Davide sono due ingranaggi complementari di un congegno perfetto.  

"Ereignis" è il primo progetto che hanno deciso di presentare al grande pubblico, concorrendo come anticipato al Festival del Cinema Europeo.

Ne approfittiamo per invitare quanti possono ad essere presenti alla proiezione di "Ereignis" presso il Cinema Multisala Massimo a Lecce, domani sera, mercoledì 20 Aprile, alle ore 20.00.  



Intervista a Pierfrancesco Gatto

Ciao Pierfrancesco e grazie della disponibilità. Partiamo subito forte, da dove nasce “Ereignis”?

“Ereignis” nasce da una profonda nostalgia per l’Uomo, o meglio dell’umano. Tale sentimento di mancanza ci ha portato lontano, ai confini della terraferma, dove il mare - fedele alla sua natura - ci ha consegnato i resti di una civiltà scomparsa. Quanta fatica nel riconoscersi! Con questa verità stretta tra le mani siamo ritornati nella nostra città.


Sappiamo che questo cortometraggio è stato prodotto insieme a Davide Mellone che tra l’altro ha curato anche la fotografia e il montaggio. Com’è stato lavorare con lui?

Io e Davide condividiamo un’amicizia di vecchia data e dopo un periodo di distanza la passione per il cinema ci ha fatto ritrovare. Posso dire di aver intrapreso questo viaggio nell’arte cinematografica insieme a lui, mettendo in comune speranze, difficoltà e successi. La nostra collaborazione nel corso del tempo è migliorata tantissimo e ciò ci ha permesso di convogliare i nostri sforzi in maniera più efficace verso l’obiettivo finale: la realizzazione dell’opera. Il rispetto e la stima reciproca sono alla base di questa sintonia.

Che sensazione si prova a partecipare a una kermesse così prestigiosa? Quali sono le tue aspettative?

È un piacere per noi concorrere al 17° Festival del Cinema Europeo (Puglia Show). Ogni anno abbiamo atteso l’inizio di questo evento con grande entusiasmo, partecipando attivamente come spettatori e desiderando, tra un film e l’altro, di vedere proiettato un nostro lavoro. Pare che il nostro desiderio si sia realizzato.  Quanto alle aspettative, penso che esse siano già state soddisfatte.

Sei un giovanissimo regista. Quanto è difficile riuscire ad emergere

Non penso di essere ancora un regista, ma credo intensamente nell’Uomo e nel Cinema. Quanto all’emergere, non è un mio obiettivo. Il riconoscimento da parte degli altri è piacevole e gratificante ma ciò che mi preme di più è portare avanti la mia ricerca, giorno dopo giorno.

Ti senti di ringraziare qualcuno in particolare?

Sono molte le persone che vorrei ringraziare. In particolare Davide e la sua famiglia, nonché la mia. Tutti gli amici che ci hanno donato un po’ del loro tempo o semplicemente credono in quello che facciamo. Un ringraziamento speciale va ad Antonio Mangialardo che fin dal primo momento ci ha sostenuto e incoraggiato, aiutandoci nei momenti di difficoltà.

Cosa bolle in pentola per il prossimo futuro? Voci di corridoio ci parlano di nuovi progetti

Innanzitutto concludere il cortometraggio “Oh, Uomo! Cosa fai?” e continuare questo percorso con grande umiltà e fede nei nostri ideali.



 Intervista a Davide Mellone

Ciao Davide. Come anticipato ti sei occupato della fotografia e del montaggio. Quali sono state (se ci sono state) le difficoltà principali?

Non ho riscontrato particolari difficoltà in fase di realizzazione. Il tutto è stato girato con la luce naturale. La gestione di quest’ultima potrebbe risultare complicata perché sfugge da ogni controllo e perché ruota intorno alle ore in cui essa risulta più “morbida”, ma dipende tanto da quello che si vuole ottenere.
Riguardo il progetto ho apprezzato fin da subito la semplicità e la genialità dell’idea. Credo che quest'ultima sia l’aspetto più importante.
In post-produzione, soprattutto durante il montaggio video, ci siamo resi conto che alcune inquadrature sarebbero state più incisive di altre ma a causa di limiti tecnici e legati alla morfologia della scenografia, non abbiamo potuto colmare tale assenza.
Siamo davvero contenti e soddisfatti di “Ereignis”, considerando anche la sua realizzazione con una disponibilità finanziari esigua.

Siamo curiosi. Come è stato lavorare con Pierfrancesco Gatto?

Tralasciando il lungo rapporto di amicizia, lavorare con Pier potrebbe essere e non essere semplice. Il motivo? È un autore e come sappiamo tutti gli autori bisogna interpretarli perché hanno una concezione fuori dal comune e riescono ad entrare nel profondo di una qualunque idea, considerandone i diversi aspetti. Trovo interessante la sua prospettiva e il suo sguardo sul mondo e ciò mi incuriosisce molto ogni volta che buttiamo giù un nuovo progetto. Spero tanto di continuare questo cammino insieme per riuscire a consolidare sempre più la nostra passione per il cinema e perché no, dare un contributo alla settima arte!

Sappiamo che al momento ti stai specializzando in Spagna. Quali saranno le tue collaborazioni e i tuoi progetti nei prossimi mesi?

L'esperienza in Spagna ha diversi lati positivi e negativi, ma nel complesso è pur sempre un’esperienza splendida che mi dà l’opportunità di confrontarmi con altre persone del settore. Per quanto riguarda il futuro, non essendo un veggente, non mi azzardo a dire nulla ma voglio rassicurare tutti coloro che hanno dato un grande contributo a un nostro progetto di un anno fa che a breve sarà ultimato. Non anticipo nulla ma ci sarà una bella sorpresa. "Non fatemi dire altro!" (e scoppia a ridere)

Che consiglio ti sentiresti di dare a chi come te vorrebbe lavorare dietro la macchina da presa

Non mi reputo ancora un professionista, ma la sensazione più grande che si possa avere dietro la macchina da presa è come l'uomo sia riuscito ad arrivare a raccontare o documentare una storia con un grande dono: la “Luce”. Al di là delle varie attrezzature super moderne, bisogna avere la creatività, un’idea, un qualcosa di profondo che ti esca da dentro in modo naturale e senza alcuna pressione.Credo che non basti solo la passione ma c'è ben altro, difficile da descrivere e individuare, penso che sia più un’emozione!


L'Universo secondo i miei alunni

Sin dal principio l'uomo ha guardato il cielo per trarre ispirazione e per capire le proprie origini; a scuola però è tutto diverso e l'ispirazione per questo articolo me l'hanno data tutti i miei alunni di prima liceo! Leggere con cautela, potrebbe causare un collasso gravitazionale con conseguente curvatura dello spazio e del tempo:

Le stelle si organizzano dalle nebulose che sono nuclei di polveri finissimo e gas, che si appoggiano aderendosi e formando i globuli di Bok.” (Accademia della Crusca, impara da qui!)

“Le stelle alte 10 volte più grandi del sole esplodono, e che evolvono generalmente in stelle di neuroni.” (wtf?!)

“Le nane bianche sono calde e hanno una massa maggiore, le giganti rosse sono fredde e hanno una massa minore.” (logico…)

“Le stelle sono corpi gassosi ad altissima temperatura formate in maggioranza da idrogeno ed elio ma, per il 2%, anche da polveri ghiacciate.” (logica parte 2)
“Esistono poi le galassie, che sono degli enormi ammassi di stelle e anche noi ne facciamo parte.”

“All’interno delle stelle si inne’scano moti turbolenti.” (Accademia del Cruschello parte 1)

“Durante il suo ciclo evolutivo la stella si stende per milioni di anni.” (povera stella, si stanca sennò)

“La loro principale attività è scaldare i pianeti attratti dalla gravità della stella.” (- cosa vuoi fare da grande? - scaldare i pianeti)

“La stella brilla perché è circondata dalla magnitude-termonucleare di fusione.”

“Dopo la stabilità, però, si formò una gigante rossa e il cielo fu pieno di carbonio.” (adoro il profumo del carbonio al mattino)

“Le stelle sono dei corpi gassosi che emettono un elevato grado di temperatura ed emettono energia.”

“Il sole non è così grande come viene visto da noi.” (ma dai?)

 “Questo processo dura miliardi di anni tanchè che gli astronomi si servono di un diagramma.” (Accademia del Cruschello parte 2)

“Attraverso l’aspettroscopia possiamo capire come è composta una stella.” (L'ondra docet)

“La prima fase consiste nel rappresentare la protostella, seguendo la fase adulta, che emmettendo energia che deriva dall’insieme di termonucleare.” (supercazzola level: 9000)

“Durante il suo ciclo vitale la stella si estende per miliardi di anni, è impossibile che umano sia a pari passo con esso.”

“Le eclissi si verificano quando la Terra si sposta e va a finire sulla Luna.” (satellite in buca d’angolo)

“La pressione del calore spinge la stella verso l’alto e quindi la mantiene nello spazio.” (come le mongolfiere)

“Il calore prodotto genera una pressione che non si contrae più.”

“Iniziano a prendere fuoco accausa del attrito.” (Accademia del Cruschello parte 3)

“I pianeti sono composti da gas, i materiali rocciosi, i ghiacci.”

“La luna può essere piena, semipiena e tante altre cose.”

“I pianeti sono accumulati e le loro caratteristiche sono: forma sferica, moto di evoluzione attorno al sole e asse inclinato.” (Darwin 2.0)

“Attorno al sistema solare si muovono 12 pianeti di forma ellittica; del sistema solare non fa più parte Plutone.” (attutu, curnutu e cacciatu ti casa)

“La luna è un’atmosfera e quindi è stata soggetta per secoli da scontri atmosferici.” (no, Maria, io esco!)

“Il sistema solare è una delle galassie che compongono l’universo.”


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Meiosi e mitosi riviste e corrette
La scuola sta finendo, le risate no! 

lunedì 18 aprile 2016

Italia ridicola! E noi giovani?!


Questo blog è apolitico, anche perché non è nostra intenzione rattristire voi lettori, visto il vento che tira nell'ultimo ventennio; tuttavia ci sono tematiche contemporanee che non possono e non vogliamo vengano ignorate. Una su tutte la "ridicolaggine" del nostro Paese agli occhi del mondo.
Ovunque a scuola si studia la magnificenza dell'impero romano, il modo incredibile con cui riuscirono a conquistare e controllare per secoli praticamente tutto il mondo conosciuto!
Un periodo del quale noi italiani andiamo fieri e orgogliosi. Poi con la caduta dell'impero e l'avvento del Medioevo l'Italia divenne terra di conquista un po' per tutti, diversi popoli ci sottomisero, dai francesi agli spagnoli, dagli austroungarici agli arabi, passando per un miriade di invasioni barbariche. Dobbiamo aspettare fino al 1850 per l'unificazione del regno d'Italia, ormai quasi del tutto privato delle sue radici. Ma gli italiani sono un popolo fiero (al contrario di quello che pensa qualcuno) e così nel giro di pochi decenni e in particolar modo con l'avvento del fascismo (sul quale ognuno ha una sua idea ma che non è oggetto di discussione in questo scritto) siamo riusciti a ritrovare una nostra inoppugnabile identità. Il boom economico, l'importante contributo nei campi scientifici e tecnologici, il fondamentale ruolo politico negli anni della guerra fredda hanno fatto sì che l'Italia, nonostante gli insuccessi in campo militare, si conquistasse un posto di tutto rispetto agli occhi del mondo! Nel 1975 l'Italia era presente alla prima riunione del G6, le sei più importanti potenze economiche e politiche al mondo.
Siamo figli di quest'Italia, i nostri genitori hanno vissuto in prima persona l'ascesa del nostro Paese.

Tutta questa bella e doverosa premessa per dire cosa? Che adesso non contiamo NULLA.
E la cosa che mi fa ancora più rabbia è che noi giovani lasciamo che accada.

Pochissimi semplici esempi di umiliazione a livello internazionale:
- caso Marò, ostaggi dell'India, che col dovuto rispetto non ha mai fatto testo nemmeno in Asia.
- caso Battista, col Brasile che nega l'estradizione
- caso Amanda Knox, miracolosamente assolta in primo grado, fuga a Seattle, e tanti saluti
- caso presidente iraniano Rohani, con statue dei Musei Capitolini coperte per evitare imbarazzi
- caso Failla e Piano, con autopsia e indagini eseguite in Libia nonostante l'esplicita richiesta dei corpi
- caso Regeni, sul quale evito anche di scrivere

E noi giovani cosa facciamo?!
Lasciamo stare, ripeto, la gestione politica delle vicende (destra, sinistra, centro non fa differenza).
Ma noi giovani perché ci limitiamo ad apprendere passivamente certe notizie?! Abbiamo Internet che a detta di tutti è un'arma potentissima, perché non ne facciamo uso?!
Perché vediamo nei social solo un mezzo per rimorchiare o seguire il nostro attore preferito anziché la più letale delle armi per far sentire la nostra voce?! Perché accettiamo che tutti ci mettano i piedi in testa senza poter nemmeno pretendere giustizia?!

Noi siamo l'Italia, noi vogliamo rispetto!
E ce lo meritiamo visto l'enorme contributo dato alla storia! 

Cari giovani che leggete questo mio post, mi rivolgo in particolar modo a voi. 
A chi governa il Paese (anzi a chi governa il mondo) fa comodo che voi siate attratti dalla irrefrenabili passioni tipiche dell'età, fa davvero comodo che social e rete vengano visti solo come un modo per appagare i vostri ormoni impazziti.
Apriamo gli occhi, ritroviamo il sano orgoglio che ci ha permesso di primeggiare agli occhi del mondo, sviluppiamo quello spirito critico che è fondamentale per dare un senso alle cose! 
Non lasciamo che si prendano gioco di noi e di chi ha lottato per noi.
Siamo italiani figli di italiani, riprendiamoci il posto che ci spetta.

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