Non poteva essere un Sanremo
come (e migliore) delle passate edizioni, e non lo è stato in effetti, ed è un
primo grande segnale da parte di un popolo meno propenso (ma non necessariamente
meno bisognoso) alla leggerezza e alla spensieratezza.
Con questo mio inizio voglio
da subito mettere in chiaro la mia posizione sul tanto discusso calo di
ascolti, era illogico non aspettarselo, io stesso ho seguito solo alcuni spezzoni
delle cinque serate, complice anche l’orario di chiusura fuori da ogni logica sociale
e lavorativa.
Che Sanremo è stato? Beh è
una domanda alla quale è difficile rispondere su due piedi e in maniera univoca
e la motivazione è l’altra domanda immediatamente correlate che ne segue: Con che
spirito e con quale approccio arriviamo a recensirlo?
Ma mettiamo volutamente
da parte l’approccio palesemente e pesantemente condizionato dall’anno appena
trascorso nell’affrontare la vita di tutti i giorni, compresi i momenti goliardici
e gli spettacoli di intrattenimento, come il festival, e facciamo finta che il
mondo abbia continuato a cullarci e a proteggerci in una meravigliosa comfort zone,
dove le aspettative partono da memorie salde e i brividi più vibranti vengono
da prevedibili attimi di imprevedibilità.
Il primo aspetto degno di
nota è l’assenza del pubblico, che ha reso surreale lo spettacolo, decretando
per gli scettici e rimarcando per gli addetti ai lavori quanto la presenza fisica
degli spettatori sia il vero stimolo motivazionale non solo per gli artisti, ma
anche e soprattutto per presentatori e ospiti intrattenitori. La sensazione talvolta
è stata di una sorta di autogestione, con l’improvvisazione a far da padrone,
talvolta forzata e che sicuramente ha tolto spazio alla ricerca di quel perfezionismo
che solo la presenza e gli sguardi del pubblico in sala possono contribuire a
raggiungere.
L’esuberanza di tutti gli
ospiti invitati se da un lato è apprezzabile e danno colore e pepe alla serata,
dall’altra fanno un po’ venir meno l’idea di quanto calcare quel palco sia
impegnativo ed emozionante, e a poco è valso ripetere il contrario, mimiche e
portamenti trasmettono più di proclami e riflessioni. Forse l’unico a non essersi
accorto della mancanza di pubblico è stato il caro Federico Lucia, in arte
Fedez.
Veniamo ora alla co-condunzione
(si, al di là del premio città di Sanremo, che il direttore artistico Amadeus
ha consegnato alla sua “spalla” Fiorello, per me quest’anno ci sono stati 2
conduttori sullo stesso piano).
Fiorello, magnifico,
artista completo come pochi in Italia e che quest’anno ha raggiunto anche
quella maturità come uomo e come professionista che non lo hanno fatto
risultare mai esagerato o fuori luogo, andando così a perfezionare forse l’unica
pecca del passato, ossia qualche uscita capace di generare qualche piccolo
imbarazzo.
Amadeus. Bene, qui è
necessario qualche piccola riflessione supplementare. In generale, direi che ha
svolto bene il compitino raggiungendo, seppur un po’ a fatica, la sufficienza.
Tra gli aspetti più
convincenti la formula utilizzata, con i siparietti di Zlatan, le “vallette”
sempre diverse e per tutti i gusti, Fiorello libero di dire e di fare, gli
ospiti italiani (e non poteva essere diversamente) che sicuramente hanno
contribuito a dare dinamismo (particolarmente apprezzato specie quando non è
sfociato nell’autogestione di cui sopra).
Ma Amadeus quest’anno ha
palesato almeno due aspetti poco felici; il primo è la mancanza di quella disinvoltura
nel tenere il palco e gestire le situazioni fuori copione, credo che non sempre
sia stato sufficiente ridere e battere le mani, e non sempre può arrivare
Fiorello a salvarti. Ho trovato, ad esempio, poco carico spostare la valletta
con in mano il premio, solo perché non posizionata a favore di camera,
toccandole le spalle scoperte con le mani (e il protocollo covid?), cosi come
ho trovato di cattivo gusto trattare Alberto Tomba come un bambino da imboccare
solo perché non ha eseguito la presentazione con voce e postura solenni. Un
direttore artistico del festival non è il capitano di brigata di Masterchef, che
quando le cose vanno male, preso dall’ansia, va in prima persona a friggere o a
decorare le torte. Mi sarei aspettato maggiore disinvoltura e controllo.
Il secondo aspetto, più
sottile, ma non meno importante, è una certa rigidità su temi come uguaglianza e
parità dei sessi, e come dire, visto anche le polemiche dello scorso anno sul “passo
indietro”, forse le origini palermitane e quindi un retaggio culturale di un
certo tipo si fanno ancora sentire. Naturalmente lungi da me dal definire il
meridione sessista e discriminatorio, anzi, ma la figura della donna fino a
qualche anno fa era in effetti considerata inferiore. Perché chiamare Damiano,
frontman dei Maneskin, alla consegna del premio e rifiutarsi quasi di
consegnarlo alla bassista? Perché consegnare i fiori solo alle donne, e se fatto
per galanteria, perché cambiare rotta strada facendo? E tutto questo nell’edizione
probabilmente più trasgressiva e anticonformista della storia.
Su Achille Lauro mi
riservo di pensarci ancora, la mia filosofia di vita è che più si rimarcano le
cose, più si elogiano le nuove conquiste, meno si raggiungono nel concreto. Sicuramente
sono stati momenti importanti, di grande impatto, che fanno discutere nel bene
e nel male e per le logiche televisive questo va sempre bene. Tematiche importanti,
segnali di uguaglianza, parità di genere, esaltazione della diversità, “Dio benedica
chi se ne frega”, tutto bellissimo, ma perché nel 2021 ancora se ne parla?
Se veramente avessimo
raggiunto quella elevazione culturale, della quale noi paese occidentali ci
vantiamo, non ce ne sarebbe bisogno, ma forse ha ragione lui, in fondo siamo
ancora a parlare di nord e sud, di porti aperti e di family day.
Ibrahimovic autoironico nella
scelta della musichetta che preannunciava il suo arrivo e nel personaggio che ha
costruito sui social e ha portato sul palco. Forse un filo ripetitivo, ma
comunque gradevole. Probabilmente in questo festival è venuto finalmente
fuori anche il suo lato umano, che in qualche modo ci porta a vederlo con occhi
nuovi.
Ospiti italiani dicevamo,
scelta obbligata ma azzeccatissima, i Negramaro sono stati grandiosi, sono
parziale ma credo sia oggettivo, sono una realtà meravigliosa, una band che sta
scrivendo pagine bellissime della musica italiana. Il buon Umberto Tozzi che o
lo vedi alla sagra di paese, o a Capodanno insieme a Raf, o a Sanremo va sempre
benissimo. Laura Pausini, Alessandra ed Emma, tutti ospiti graditi e piacevoli.
Ornella Vanoni come sempre
conquista tutti, per la sua carriera, il suo estro, le sue uscite tra imbarazzo
e ilarità, fa tutto show, bravissima!
Veniamo agli artisti in
gare, molti big erano oggettivamente sconosciuti ai più, ma questo ormai non fa
più notizia da qualche anno, anzi, credo che molti artisti siano stati una
piacevole scoperta. Vedi i buoni Colapesce e Di Martino con la loro Musica
Leggerissima, una ballata talmente immediata che l’ho quasi stufata in meno di
una settimana, ma meritatamente al quarto posto.
Una edizione forse
leggermente sottotono nella qualità generale dei brani (questa ovviamente dipende
dai gusti di ciascuno) ma che ha comunque regalato ottimi pezzi.
Felice per il nono posto
di Orietta Berti, che tra gaffe, vestiti improponibili e la sensazione che
cantasse con la moca sul fuoco e il caffè pronto a uscire da un momento all’altro
ha comunque rappresentato sul palco una generazione di cantanti che i nostri nonni
hanno amato e già solo per questo la top ten è strameritata. Ancora un secondo
posto per la bravissima Francesca Michielin, speriamo non ripercorra le orme di
Toto Cutugno, e per il buon Fedez, che per l’innato istinto protettivo abbiamo
tutti apprezzato visto lo stato di semi incoscienza nel quale ha versato per tutte
le serate.
Bene Ermal Meta (ma non
da vittoria), la debuttante Madame e molto bene Willie Peyote (la citazione al
siparietto di Morgan e Bugo è poesia).
Deludono Francesco Renga,
Bugo, Arisa e Malika, mi aspettavo sinceramente di più.
Concludo con i vincitori,
i Maneskin. Al di là del sound, questi ragazzi sono stata la vera novità di
questo festival, l’outsider che sorprende e che per la prima volta si prende la
vetta!
Molto bello il loro
duetto con Manuel Agnelli nella reinterpretazione di “Amandoti” di Gianna
Nannini, in generale presenza scenica da fare invidia ai veterani, autentici
animali da palcoscenico!
Felice per loro, di questi
ragazzi ne sentiremo tanto parlare.