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mercoledì 9 settembre 2020

Cammino per Knivskjellodden, il vero capo nord!





Una tra le mete più ambite dai viaggiatori che amano perdersi nelle meraviglie selvagge della natura è senza dubbio la Scandinavia,in particolare un punto famoso per essere l'estremità più settentrionale del nostro continente: Capo Nord (Nordkapp) in Norvegia a 71° 10' 21" N; però non tutti in realtà sanno che per arrivare al vero estremo d'Europa bisogna fare una "piccola" deviazione di 9 km e raggiungere in un cammino mistico quello che è il traguardo che pochi hanno il coraggio di raggiungere (o pronunciare): Knivskjellodden (71° 11' 08" N).
Per vedere meglio le foto, basta cliccarci sopra (anche da mobile)


Ma andiamo con ordine. L'idea di raggiungere Knivskjellodden aleggiava nella testa mia e del Dav già da tempo (ricordate il nostro viaggio a El Hierro?) e finalmente assieme a Caterina, Lidia e Roberto abbiamo potuto concretizzarla. Il tutto si sarebbe svolto la settimana di ferragosto. Chi ci conosce sa che non ci piace fare le cose troppo comode e per questo abbiamo deciso di partire da Helsinki, con una macchina a noleggio (un BMW 530xd), e arrivare nell'isola di Magerøya attraversando la Lapponia. Anche questo tragitto merita di essere raccontato (anche perché abbiamo scattato delle foto bellissime) e lo farò in un altro post (clicca qui) dato che probabilmente siete qui per capire se andare o meno a Knivskjellodden.

Il gruppo si appresta a superare il Circolo Polare Artico

Innanzitutto è bene sapere che se non si è ben attrezzati (e con sufficiente esperienza) è meglio evitare di andarci in inverno o comunque con la neve: le condizioni metereologiche cambiano in maniera repentina e il fatto di non avere sufficienti ore di luce sono due fattori di rischio da non sottovalutare. Il periodo ideale è quindi la primavera inoltrata o la prima metà dell'estate. Quando siamo andati noi abbiamo trovato una costante pioggerellina e vento a tratti fastidioso, con una temperatura che ha toccato i 4°C il giorno di Ferragosto. Un buon consiglio a posteriori è quello di portare un ricambio asciutto da tenere in auto per quando si ritorna.

Caterina e sullo sfondo nebbioso Nordkapp

Un raro scatto della falesia di Nordkapp senza nebbia

Il monumento di Nordkapp con sullo sfondo a sinistra la punta di Knivskjellodden




Da sin a dx: Roberto, Caterina, Davide, Lidia e Pier Mastro

Potrei iniziare il racconto con un classico "e fu sera e fu mattina" ma viene difficile capire la fine dell'una e l'inizio dell'altra con il sole che quasi non tramonta mai (in realtà è stato sotto l'orizzonte solo un paio d'ore); dopo una colazione da campioni ci dirigiamo verso il parcheggio da cui si snoda il "sentiero" da percorrere. Quando arriviamo, però, ci rendiamo conto che le condizioni del terreno non sono ideali in quanto vi erano già delle pozze di acqua e di fango abbastanza importanti. Ci scoraggiamo un poco e ancora perplessi cerchiamo di decidere se avviarci o meno. Decidiamo di far passare qualche decina di minuti e nel frattempo recuperare un paio di guanti per il Dav. Al nostro ritorno al punto di partenza la situazione non è cambiata e, anzi, aveva iniziato a fare una leggera pioggerellina, quasi un aerosol. A questo punto, però, una comitiva di escursionisti (tra cui anche anziani e bambini) compare dal nulla e si avvia per il sentiero: decidiamo subito di seguirli ma, nel tempo di mettere lo zaino in spalla, si erano già persi nella foschia. Poco male, li avremmo comunque rivisti prima o poi e questa sicurezza di non essere soli ci ha permesso di avviarci più tranquilli.

Il percorso si è rivelato ostico fin da subito: vento e pioggerellina assieme ad un fondo a tratti fangoso (ci stavano delle assi di legno per non farci sprofondare ma erano più instabili di una tregua sulla striscia di Gaza) ci hanno accompagnati per la quasi totalità del percorso. Il paesaggio della tundra, però, ci offriva degli scorci davvero interessanti, con laghetti e vallate che nei momenti di visibilità ottimale si perdevano all'orizzonte. Noi continuavamo a camminare seguendo i vari troll disseminati sul sentiero: no, non ci sono tanti esserini con orecchie e punta e capelli spettinati che ti dicono dove andare ma con quel nome si indicano dei grandi cumuli di pietre su cui vi è dipinta una grande T rossa. Avevamo anche il GPS ma finchè ne vedevamo almeno 3 uno dietro l'altro all'orizzonte, abbiamo camminato "speditamente".

Un esempio di "T" rossa con accanto.... ve lo dico dopo

Nel nostro percorso abbiamo più volte incontrato gente che aveva già raggiunto la meta e stava ritornando felice (e saltellante, come le due ragazze che con leggins e scarpe da ginnastica stavano tornado a passo di corsa) e, dopo un saluto rapido, a ciascuno di loro abbiamo chiesto informazioni su ciò che ci sarebbe spettato: tutti ci rassicuravano e ci dicevano di non scoraggiarci. Continuavamo a camminare mentre le condizioni del terreno divenivano via via più impervie: le zone fangose aumentavano e, nonostante gli strati di indumenti impermeabili, ci stavamo iniziando a inumidire.

Arrivati a 2km circa dalla meta, ecco che ci si para innanzi uno "scavallo" importante: 10 metri di altezza con una pendenza di circa il 30%... Lo scendere non è stato molto problematico, sembravamo come dei bimbini che si rotolavano giù da un pendio innevato, solo che al posto della neve ci stava tanto, tantissimo fango. Ciò che ci preoccupava era il dover risalire da lì! Per fortuna che questo pensiero è stato rimpiazzato dalla visione del Mar del Nord in tempesta: uno spettacolo unico ed una sensazione di maestosità ci aveva fatto dimenticare tutti i disagi e la fatica del percorso fatto fino in quel momento. Di fronte a tanta bellezza non abbiamo potuto far altro che restare in silenzio a contemplare per qualche istante la grandiosità della natura.

Vista sul mare del Nord


Fatte le foto di rito abbiamo ripreso il passo per affrontare il tratto più difficile e pericoloso. L'ultima parte del sentiero, infatti, è rappresentata da una scogliera liscia con inclinazione di 45° resa scivolosa dalla pioggia e dal fango portato sotto le suole dagli escursionisti prima di noi. Poco pratici e un poco intimoriti abbiamo iniziato a percorrerlo lentamente e con prudenza, rischiando più di una volta di scivolare. Nel frattempo dalla parte opposta vedevamo tornare con "nonscialanza" diversi altri turisti tra cui padri con in braccio dei neonati o bambini di 7/9 anni che vedendoci in difficoltà ci urlavano: "NO FEAR!! NO FEAR!!". 

La scogliera inclinata, non ancora al massimo di pendenza, che ci separava dalla meta

A questo punto, all'ennesima scivolata, il gruppo ha una battuta d'arresto. Due di noi erano arrivati al limite: uno era fradicio dalla punta dei capelli (ad averli) fino all'unghia dell'alluce, l'altro invece aveva avuto un'importante crisi di panico. Mancava poco più di un kilometro alla tanta agognata meta, al coronamento di tanta fatica e abbiamo deciso di separarci. Loro sarebbero tornati indietro alla macchina con calma e noi avremmo continuato fino alla fine. Nella divisione offro loro le chiavi del mezzo e della baita per permettergli di trovare riparo nell'attesa del nostro arrivo e in cambio chiedevo dei panini dato che stavo iniziando ad avere fame. Con la risposta "no, sennò poi perdi tempo a mangiare e non tornate subito" abbiamo risolto con la soluzione peggiore per entrambi i gruppi. A fine post vi racconterò il loro ritorno.

Si riparte, con la speranza di arrivare presto alla meta, sotto la pioggia che non aveva mai smesso di scendere e con il vento che si era fatto più forte anche per il fatto che eravamo su di una punta di terra quasi in pieno Oceano Artico. L'ultima tratta nascondeva un paio di punti abbastanza difficili ma oramai avevamo preso confidenza col terreno; ad un tratto, dopo 4 ore di cammino, innanzi a noi ecco apparire il monumento dei nostri sogni: eravamo finalmente giunti nel punto più settentrionale del nostro continente. Il terreno era fangosissimo e si sprofondava, ci siamo diretti verso il cassettone rosso dove all'interno vi è un taccuino su cui scrivere i nostri nomi. Le nostre mani erano quasi congelate e faticavamo anche solo a prendere la penna per scrivere. La felicità era tantissima e la soddisfazione indescrivibile; avremmo voluto stare più tempo per contemplare il momento ma le condizioni meteo stavano peggiorando e la fame si faceva sentire. Inoltre avevamo i piedi completamente zuppi e pieni di fango: sprofondando più volte nel terreno imbevuto di pioggia ci siamo riempiti gli scarponcini da trekking.

Il monumento di Knivskjellodden che celebra il vero punto più a Nord d'Europa

In un solo scatto la cassetta rossa e il monumento di Knivskjellodden, sullo sfondo la falesia di Nordkapp avvolta dalla nebbia. Si può notare come sia effettivamente più arretrata. 
Cosa ci fa un'etichetta delle mie birre lì?








Una firma ad imperituro ricordo dell'impresa

 Il ritorno è stato più "veloce" e abbiamo affrontato la scogliera quasi di corsa, come se fosse un ridente sentiero in pianura. Ad ogni troll speravo di incrociare lo zaino con i panini che assieme agli altri due aveva preso la via del ritorno ma nulla; abbiamo dovuto dividerci una tavoletta di cioccolato che sarebbe dovuta durare per le successive 4 ore (o 9 km, se preferite). La tundra si susseguiva quasi uguale di ettometro in ettometro e i nostri riferimenti dell'andata erano quasi inutili dato che anche la nebbia non permetteva di vedere molto lontano. Attorno a noi vi erano anche dei branchi di renne che correvano all'impazzata e noi speravamo solo che lo facessero per gioco e non perché ci fosse qualche reale pericolo. Per non farci pesare il cammino, ci ponevamo dei piccoli obbiettivi lungo il percorso per darci una gioia illusoria e farci continuare. Ad un certo punto una chiamata: no, non ci volevano nell'aldilà, era il resto della squadra che ci avvisava che erano prossimi ad arrivare al parcheggio. A noi mancava ancora un terzo di strada da fare e mi preoccupavo del fatto che non avessero preso con loro le chiavi della macchina per potersi riparare.

I tre folli eroi giunti alla meta, zuppi e soddisfatti si avviano stanchi verso il ritorno

Quando alla fine pure noi raggiungiamo il parcheggio non ci sembrava vero; c'era solo la nostra macchina ad aspettarci ed uno strano tizio in un furgone azzurro stile "anonima sequestri" che appena ci ha visto se n'è andato. Ci rifugiamo subito nella vettura facendo razzia di biscotti e caramelle gommose alla liquirizia per placare la nostra fame. Non avendo trovato gli altri abbiamo pensato che avessero trovato il modo per tornare alla baita e farsi la doccia così da poterci subito buttare sotto l'acqua calda. 

Purtroppo non è stato così poichè all'arrivo in baita li abbiamo trovati fuori la porta con un bicchierone di brodo tra le mani. Poco male, entriamo tutti assieme in baita, ci denudiamo dei panni oramai zuppi e ci concediamo il meritato ristoro. Nel frattempo preparo anche un bel ragù di renna.

IMPRESSIONI DI VIAGGIO

Il sentiero non presenta evidenti difficoltà tecniche, una persona con un allenamento minimo per le lunghe tratte è in grado di percorrerlo senza troppe difficoltà specie in condizioni meteo favorevoli. Tuttavia è fondamentale essere attrezzati con un abbigliamento tecnico che garantisca il più possibile l'impermeabilità. Non sottovalutate il fattore meteo, è meglio evitare di andarci in inverno. È inoltre importante avere con se un buon GPS: è vero che il sentiero è segnato con grandi cumuli di pietre con sopra le T rosse ma il tempo atmosferico è variabilissimo e si potrebbe incappare all'improvviso in una nebbia o pioggia fitta che potrebbe non far vedere il percorso da compiere. Portatevi dietro cibo e acqua a sufficienza (ed evitate di separavi senza prendere i panini): nel cammino non vi sono ne fonti di acqua potabile ne punti di ristoro. In definitiva, quindi, il gioco vale la candela? Si: la soddisfazione di poter raggiungere con solo le proprie forze e la propria determinazione un punto così magico ripaga ogni sforzo!!

L'AVVENTURA DEL RESTO DEL GRUPPO

Come promesso ecco il racconto del ritorno alla macchina di Dav e Lidia, raccontato direttamente da lei: "La morte sembrava vicina, non avevo più la sensibilità alle mani e Dav era completamente fradicio e congelato ma fortunatamente era ancora lucido da poter intravedere le T rosse e guidarmi verso la salvezza. Non nascondo l'imbarazzo di dover pregare i santi affinché ci salvassero mentre lui li malediceva ogni qualvolta finiva immerso nel fango fino al suo ginocchio (che poi era l'altezza del mio torace). Le T rosse e la pioggia sembravano non finire mai ma come per incanto abbiamo finalmente raggiunto il parcheggio. Vedevamo la macchina, la nostra salvezza, ma non avevamo preso le chiavi e dovevamo trovare un riparo fino al ritorno degli altri. Credevamo di poterci riparare sotto qualche pensilina ma non ve n'erano. Per evitare quindi l'ipotermia definitiva, decido di chiedere asilo e mi avvicino all'unico camper rimasto. Sfoderando le mie conoscenze di inglese, decimate da un pesante deficit di glucosio, busso allo sportello, un signore ci apre la porta (ai nostri occhi era quella del Paradiso) e ci fa accomodare assieme alla sua famiglia. Dopo aver spiegato per un paio di minuti abbondanti la nostra tragica situazione, noto sul suo volto l'espressione di chi non aveva capito nulla: erano polacchi e non parlavano mezza parola di inglese. Grazie a Google Translate siamo riusciti a comunicare mentre la moglie ci somministrava come primo soccorso due bicchieri colmi di Ballantines a testa. È inutile dire che li abbiamo bevuti come se fossero acqua fresca. Il Dav sembrava affetto da un attacco di Parkinson per quanto stava tremando; i polacchi lo hanno denudato e rivestito con abiti asciutti ma ancora non smetteva di vibrare come uno star-tac. Pensavo stesse per esalare l'ultimo respiro ma ho capito che era ancora in sè nel vederlo "tenere" con una mano il bicchiere e con l'altra lo smartphone aperto su Instagram (scorrendo in cerca di signorine scosciate). A questo punto ci offrono anche un pasto pronto e ci riportano alla baita. Non avendo le chiavi nemmeno di quest'ultima e non avendo trovato nessuno in reception per chiedere la copia, eravamo costretti ad attendere gli altri sulla soglia della casa. Vedendoci in questo stato pietoso, i polacchi, prima di andarsene, ci offrono un altro giro di brodo. È inutile dire che è stata l'avventura più spaventosa della mia vita (finora) però mi piace pensare che in quel giorno qualcuno dall'alto ci abbia aiutati; cercando il santo del giorno (14 agosto) ho scoperto che veniva commemorato San Massimiliano Kolbe, anche lui polacco come la famiglia che ci ha aiutato... Coincidenze?".



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