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lunedì 17 luglio 2017

L'attesa di un incontro

Le mattine si susseguivano uguali una dopo l'altra; di giorno in giorno la voglia di alzarsi presto per andare a lavoro era sempre di meno, per non parlare poi del doverlo fare nei giorni di pioggia…

La strada che ogni mattina percorrevo per raggiungere il mio ufficio è il tipico viale del centro in cui la gente ancora assonnata cammina distratta senza curarsi troppo di ciò che accade loro accanto. I negozietti, il bar e l'edicola sono le anime invisibili sotto i porticati ai lati del viale. E poi, come un'oasi nel deserto, faceva capolino tra i grigi mattoni un piccolo negozio con le vetrine colorate, dei fiori alla porta che permeavano di profumo l'aria pesante della città e una dolce musica che, ad udirla bene, richiamava alla mente l'atmosfera sognante delle notti orientali. Ma non era questo contrasto di calore nella fredda via ad attirare la mia attenzione. No. Come ogni mattina, infatti, la mia speranza era quella di incontrare la ragazza che lì ci lavora. Dio, come era bella: capelli corvini che lisci cadevano sulle sue spalle, il corpo morbido e sinuoso, le carnose labbra messe in risalto da un delicato rossetto e due occhi in grado, con un semplice sguardo, di cambiarti la giornata in un istante. E lei, lei forse aveva sempre saputo di avere questo potere che quasi sembrava si vergognasse a mostrarli.



Ecco, io non vi so dire come, ma il suo sguardo era per me aria dopo una lunga apnea, acqua nel deserto, gioia nella tristezza. E, in realtà, ci sarebbe anche un'altra cosa che non saprei dire, o meglio, che non le ho mai saputo dire. Di solito, passando davanti al suo negozio, la cercavo attraverso la vetrina sperando che mi vedesse e lei, come se mi aspettasse, al mio passaggio rispondeva con un immenso sorriso. Le poche volte che stava fuori e riuscivo a parlarle, non ero in grado di dirle più di un “buongiorno, come va oggi?” per poi continuare per la mia strada da una parte felice di essermi perso per qualche istante nei suoi occhi e dall'altra rammaricato di non averle mai potuto dire ciò che provavo per lei e ciò che lei, inconsapevolmente faceva per me.

Era una mattina come le altre, allietata dall'aria del week-end che stava per arrivare; poco prima di raggiungere il suo negozio, mentre già il cuore mi batteva impaziente, in un attimo di distrazione urtai contro un passante e caddi a terra spargendo sul marciapiede tutte le mie carte del lavoro. Non ebbi tempo di capire che cosa fosse successo che lei era già lì, accovacciata accanto a me a raccogliere i fogli che avevo disseminato:
“Hai fatto proprio un bel tuffo, eh?! Ti sei fatto male?”
“No, no, tranquilla” balbettai mentre il tempo pareva fermarsi al comando del suo sorriso.
Non l'avevo mai vista così da vicino ed ero incantato dal suo volto; avrei voluto accarezzare dolcemente le sue guance vellutate e darle un delicato bacio per ringraziarla. Ma, ahimè, ero talmente nel pallone che riagguantati i documenti, la ringraziai e me ne andai di fretta.

Questa scena mi ha accompagnato per tutto il giorno e anche nel week-end a seguire. Ma perché le parole che avrei voluto dire e i gesti che avrei dovuto fare mi vengono solo dopo?! Per quale beffardo scherzo del destino mi sono trovato così vicino a lei ma ne sono stato tanto distante?! Il mio animo si tormentava e fu così che mi feci coraggio e presi la decisione di andarle a parlare.

Era lunedì, passai la notte in ansia, ma poco male. Questo mi diede la possibilità di potermi alzare prima e passare dal fioraio a prendere un mazzo di fiori che potesse almeno un poco rispecchiare la bellezza dei suoi occhi. Imboccai il viale ma l'aria che si percepiva era diversa dal solito; pensai che fosse solo una mia sensazione ma era come se mancasse qualcosa. Non si sentiva la musica e da lontano non riuscivo a vedere nemmeno i colori delle vetrine. Al loro posto vi era solo una saracinesca abbassata, piena di scritte e disegni fatti con le bombolette, ed un foglietto affisso ad essa. Mi avvicinai di fretta, preoccupato, e con lo sconforto che mi assaliva lessi il contenuto di quell’avviso: “Miei affezionati clienti, sono costretta a cedere l'attività per tornare al mio Paese; vi ringrazio per la vostra fedeltà e cortesia. A presto, spero!”.
Il mio mondo cadde a terra assieme a ciò che avevo in mano. Lei era andata via all'improvviso, partita chissà dove e chissà per quanto, senza avere la possibilità di chiedere il suo nome, di salutarla per l'ultima volta, di ringraziarla per aver reso le mie giornate migliori. Mi maledivo ed ero furibondo con me stesso per non essere mai stato in grado di superare la mia timidezza.

Rabbia e rassegnazione erano in lotta tra loro nel mio cuore; tristemente abbandonai i fiori lì per terra, come a commemorare un caro defunto, e mi incamminai per la mia strada di sempre.
“Che fai, lasci qui questi meravigliosi fiori?” questa voce mi fece trasalire, mi voltai di scatto e la vidi; ero ancora lì a fissarla con aria incredula mentre lei raccogliendo il bouquet mi si avvicinò: “sai, il mio aereo parte tra poco ma non volevo andarmene senza prima averti salutato”.
Delle mille parole che mi ero preparato a dirle, non riuscii in quel momento a dirne nessuna e non perché la mia bocca si era bloccata come al solito ma perché le nostre labbra si stavano già baciando.