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giovedì 19 luglio 2018

El Hierro, volando verso sud

El Sabinal, l'albero simbolo di El Hierro
Tutto inizia con la voglia di fare qualcosa di epico, qualcosa di non convenzionale, che rimarrà alla storia o almeno che potremo raccontare ai nostri nipoti. La nostra idea (mia e di quel pazzo di Davide) era quella di affrontare il cammino verso Knivskjellodden, il punto più a nord dell'Europa continentale; purtroppo però, nel periodo destinato alle vacanze, c'era ancora troppa neve e non avremmo potuto muoverci in totale sicurezza.
Dovevamo decidere una meta alternativa e dato che a nord era troppo freddo, abbiamo deciso di spostarci verso sud. Una rapida ricerca su internet ci ha svelato i due punti più a sud d'Europa: uno in Grecia (parlando di Europa continentale) e uno alle Canarie (se si tiene conto anche delle isole del nostro continente); ovviamente, puntiamo all'arcipelago che si bagna nell'Atlantico.

In particolare, il punto più a sud, si trova nell'isola di El Hierro, la più piccola e meno conosciuta (turisticamente parlando, e questo già bastava per convincerci) di tutte le Canarie. Essa però era talmente ricca di posti incantevoli e di cose da fare che da subito non vedevamo l'ora di partire.
Per vedere meglio le foto, basta cliccarci sopra (anche da mobile).
ATTENZIONE: se non vi va di leggere il diario di questa avventura giorno per giorno, andate direttamente a fondo articolo dove troverete le impressioni di viaggio in cui capirete perché il prossimo biglietto aereo da fare sarà per El Hierro!

PRIMER DÌA
Tralasciando i dettagli del volo (dico solo che abbiamo fatto un Brindisi - Tenerife Nord con scalo a Barcellona) inizio il mio racconto la mattina del primo giorno. Era ancora buio e fuori imperversava un temporale di vento e acqua; il collegamento da Tenerife a Valverde (il piccolo aeroporto herreño) era a bordo di un ATR-72, aereo a elica famoso per non essere il re della stabilità. Cercando di farci coraggio ci scofaniamo mezzo bar dell'aeroporto: appesantendoci avremmo contribuito a stabilizzare l'aereo e nel peggiore dei casi saremmo morti sazi. Arriva il momento dell'imbarco ed entrando nel velivolo ci colpiscono due particolari, il primo è che non potevamo stare eretti perchè sennò sbattevamo al tettuccio, il secondo è la bellezza delle hostess... questo ATR infondo ha anche lati positivi! Il volo è stato tutto sommato confortevole e nonostante il vento laterale al momento dell'atterraggio, non ci sono stati grossi problemi.

Il nostro ATR-72
El Hierro visto poco prima di atterrare
L'isola è piccolina (solo 30kmq più grande di Lecce) ma ben collegata e decidiamo di noleggiare una macchina (prezzi bassissimi anche per il carburante che al litro non supera 1 euro); ci tocca una Hyundai i10 che si rivelerà un potente mezzo nelle mani di Davide (affidabile un po' meno ma solo perché guida lui). Usciti dal piccolo aeroporto ci dirigiamo verso il capoluogo dell'isola, il paesino di Valverde. La principale attrazione è la chiesa di Nuestra Señora de la Conception; molto bella e colorata, ricorda un po' gli edifici che si vedevano nel telefilm Zorro. Da qui ci spostiamo verso la costa (in paese non c'era nessuno, erano appena le 9 di domenica mattina).

Nuestra Señora de la Conception, interno
Nuestra Señora de la Conception, esterno by night
Scendiamo verso il Charco Manso (zona nord-est) e subito rimaniamo incantati dal colore turchese intenso dell'acqua, dalla spuma e dalla violenza delle onde che, sospinte dal vento nel pieno oceano, si infrangevano sui neri scogli vulcanici. Charco Manso vuol dire "conca calma", ma quella mattina di calmo non aveva nulla! Le foto non rendono al meglio ma già fanno capire quale meraviglia fosse. Qui, mentre registro un breve video, vengo investito in pieno da un muro d'acqua di un'onda più forte e mi inzuppo dalla testa alle caviglie (i piedi no, avevo gli scarponi impermeabili). Tra imprecazioni e risate mi cambio e ci rimettiamo in marcia. Il nostro itinerario ci portava a girare l'isola in senso antiorario lungo la costa occidentale. Avevamo intenzione di fare il bagno in uno dei numerosi "charcos" (il più spettacolare il Charco Azul), piscine naturali scavate dal mare nelle colate laviche costiere, ma in quei giorni, su quel versante batteva il forte vento che da ovest attraversava tutto l'Atlantico.

Charco Manso

La meravigliosa acqua turchese di El Hierro
Entriamo nella provincia de La Frontera e percorrendo tutta la litoranea ci fermiamo ad osservare e fotografare non solo lo spettacolo che ci offre la natura ma anche delle attrazioni antropiche come il Pozo de las Calcosas e l'Hotel Punta Grande che ha ricevuto il Guinness dei primati per essere il più piccolo del mondo.

Pozo de las Calcosas
Las Calcosas

Un pazzo Pier Mastro su un arco di scoglio
L'hotel Punta Grande
Era ora di pranzo e scegliamo di pasteggiare presso il Mirador de la Peña, un ristorante progettato da César Manrique, architetto canario, dal quale si può ammirare una scogliera di 15km di estensione e quasi 2km di altezza, ricoperta da fitta vegetazione, e le rocce di Salmor su cui sono state ritrovate le ultime lucertole giganti endemiche di El Hierro (Gallotia simonyi). Per prevenirne l'estinzione (ne sono rimasti pochissimi esemplari) e studiarne meglio l'etologia vi è un piccolo ecomuseo con annesso il lagartario che può essere visitato; qui si possono pure vedere e visitare le abitazioni dei primi abitanti delle isole e quelle costruite dai colonizzatori. Sotto questo insediamento, poi, si viene portati in una grotta di origine vulcanica i cui cunicoli si diramano fino al mare.

Roque de Salmor vista dal Mirador de la Peña



Concludiamo la visita alla costa ovest rilassandoci con un gin tonic nei pressi del Charco Azul. Da qui saliamo verso Los Lanillos per prendere possesso del nostro alloggio notturno e cenare in un guachinche: storicamente erano delle cantine o taverne improvvisate in cui si poteva bere il vino prodotto dal proprietario assieme a piatti della tradizione canaria. Noi ci siamo fermati presso "Guachinche Frontera", posto molto caratteristico, dove il ragazzo che ci ha accolti (proprietario, cuoco, cameriere e piccinnu della conza), ci ha preparato il formaggio piastrato con sopra il mojo e una paella alla catalana (si, lui è catalano); satolli e appagati ce ne andiamo a dormire.

Interno del Guachinche Frontera (se volete la pwd del WiFi poi ve la passo)
Il chiarissimo menù
Queso asado y mojo (a sin) e la paella alla catalana (a dx)
SEGUNDO DÌA
Il nostro itinerario faceva iniziare il secondo giorno con una trekkata sul Pico Malpaso ma le condizioni meteo ci hanno fatto desistere; oggi avremmo comunque aggirato il pizzo estremo per dirigerci verso il Mar de la Calma. La strada che ci ha portati nel versante sud non è propriamente comoda, si sale lungo i costoni di varie colate laviche seguendo un tragitto in salita e con ripidi strapiombi a bordo strada. La prima tappa di oggi è la spiagga del Verodal, spiaggia con della grossolana sabbia di origine vulcanica e dal tipico colore rosso. In realtà c'era stata una recente frana e l'accesso era interdetto ai pedoni ma ci siamo avventurati lo stesso per fare delle foto da vicino. Il vento era ancora molto forte e abbiamo evitato di fare il bagno.

La strada perigliosa
Accanto alla corsia, il nulla
Playa del Verodal e la sua sabbia rossa
Particolare della sabbia del Verodal
La sosta successiva è presso il Pozo de la Salud ma mentre risalivamo per la nostra strada ci siamo accorti di aver saltato l'Arco de la Tosca; dato che non ci andava di tornare indietro per quella strada perigliosa di prima, abbiamo tirato dritto verso El Sabinar: la zona con i caratteristici ginepri piegati dal vento dell'oceano; la tenacia di questi alberi nel fronteggiare il forte vento e la loro capacità di piegarsi ma non spezzarsi è la metafora che incarna anche il popolo herreno. Ciò che ci ha colpito mentre salivamo di quota era il particolarissimo profumo che emanava la vegetazione attorno a noi: qualcosa di inebriante e che ancora oggi, chiudendo gli occhi, riesco a risentire. Strada facendo abbiamo incrociato anche il Santuario de Nuestra Señora de los Reyes, un piccolo eremo dedicato alla patrona dell'isola. Arrivati nello spiazzo dei ginepri ammiriamo la meravigliosa forza della natura che si manifesta in questi alberi dalle fantasiose convoluzioni.

Pozo de la Salud
La strada che porta a El Sabinar
Santuario de Nuestra Señora de los Reyes
Uno dei tanti ginepri modellati dal vento
Fatte le doverose foto, ci spostiamo nuovamente verso la costa, tramite degli sterrati che hanno messo a dura prova la macchinina guidata dal Dav, in direzione del Faro de Orchilla, struttura della marina spagnola oramai in disuso; da qui, poi, percorriamo a piedi un sentiero di quasi un kilometro e mezzo che ci ha portato al monumento del Meridiano Cero: già Tolomeo aveva descritto il capo di Orchilla come l'estremo punto occidentale del mondo conosciuto e fino al 1884 il meridiano zero (quello che oggi è ufficialmente a Greenwich) passava proprio da lì. A causa delle strade di non facile percorrenza, la nostra tabella di marcia aveva subìto dei ritardi, quindi rifocillandoci strada facendo con mandarini e oreo ci siamo diretti verso la vera meta del viaggio: il punto più a sud dell'Europa sito nella zona de La Restinga. Per raggiungerla abbiamo percorso una strada che attraversava la pineta di El Pinar, una stradina piena di curve in cui il pilota ha sfogato tutte le sue perversioni rallystiche: all'ultima parabolica la forza centrifuga mi ha spostato di peso dal mio sedile e mi ha fatto scivolare sul suo facendomi ritrovare su di lui; nonostante questo romantico momento in cui abbiamo fatto un curvone cheek to cheek, siamo arrivati vivi alla fine.

Faro de Orchilla
Stava sul pizzo di una montagnetta che ho scalato appositamente, non so perché e non so cos'è!
Monumento al Meridiano Cero
Di strada facciamo un sopralluogo alla spiaggia di Tacoròn (di questo ne parlerò più avanti). Bene, GPS alla mano lasciamo la macchina al limitare della scogliera e ci spingiamo fino all'estremo meridionale ad osservare l'Atlantico e la vastità dell'infinito all'orizzonte! (Lo so che a "vastità" avete pensato altro, non mentite...). La nostra avventura aveva avuto finalmente compimento e ci sentivamo appagati, pieni di un nuovo stato d'animo, in pace con noi stessi e con il mondo, immersi nel blu dell'oceano, nell'azzurro del cielo, nel profumo del mare e nel suono delle placide onde... Ma più di tutto avevamo fame!! Era già pomeriggio e abbiamo trovato un bar vicino al porto dove abbiamo merendato con una frittura di pesce e una bottiglia di ottimo vino bianco herreño. Dopo il meritato relax ci siamo diretti a Villa de Valverde per la notte; la tipa dell'hotel ci ha consigliato un pub storico in cui cucina tradizionale ed innovazione si sposano in un connubio interessante per le nostre papille gustative.

Seduto sull'ultimo scoglio dell'estremo sud d'Europa

TERCER DÌA
Sveglia presto, colazione abbondante e via di nuovo al Tacoròn armati di asciugamano e costume da bagno per immergere le nostre pingue membra nelle fredde acque dell'Atlantico. Per scendere verso sud decidiamo di costeggiare dapprima il versante orientale dell'isola dove abbiamo potuto ammirare la Roque de la Bonanza, un faraglione monumentale che ricorda due animali in lotta tra loro, e poi di spaccare l'isola salendo per un sentiero tanto ripido quanto stretto. Abbiamo potuto ammirare il golfo de las Playas dall'alto, attraversando un villaggio rurale davvero caratteristico. E in tutto ciò la piccola Hyundai i10 ha dato prova di stoicità e stakanovismo!

Roque de la Bonanza
Arrivati al Tacoròn, la caletta si presentava a noi con una piccola zona di nera sabbia vulcanica ed un charco profondo delimitato da una piccola grotta su cui si stagliavano colorati degli enormi granchi rossi nonchè enormi cozze patelle (a quanto pare la gente del luogo non ne va ghiotta). Per entrare in mare c'erano installate delle scalette di acciaio (utili più che altro alla risalita) da cui ci si poteva anche tuffare, scelta più adatta in quanto le correnti provenienti dal nord rendevano decisamente fredde queste acque. Che ve lo dico a fa', una beatitudine indescrivibile!!

La spiaggia nera del Tacoròn
Tacoròn, grottina con granchi rossi e patelle
Un tuffo nell'Atlantico
All'ora di pranzo, poi, siamo tornati alla Restinga e ci siamo fermati presso "Tasca Restingolita" per mangiare del pesce fresco. Il ragazzo che ci ha accolti ci ha mostrato un pesce strano (gli indigeni lo chiamano "pejeperro", il mio prof di zoologia invece "Bodianus scrofa") e per soli 30€ (in totale) ce lo ha cucinato in maniera esemplare ed accompagnato con pane bruschettato con aglio olio e prezzemolo, delle papas arrugadas con mojo rojo e mojo verde (patate cotte sulla brace con la tipica salsina canaria sia rossa che verde) e una bottiglia di immancabile vinello.

Il porticciolo de La Restinga
Io, Davide, il ristoratore e il pejeperro (in ordine sparso)
La nostra avventura ad el Hierro stava giungendo al termine, prima di riprendere il famigerato ATR-72 abbiamo fatto incetta di bottiglie di vino e di formaggi herreñi e siamo tornati all'aeroporto di Valverde. Il vero problema è stato far entrare 18 bottiglie di vino, una di gin e due di rum in una piccola valigia da mettere in stiva senza che si rompessero... Impresa riuscita nonostante la valigia abbia fatto un volo in più perché non era stata imbarcata allo scalo.

Il piccolo aeroporto di El Hierro visto da lontano
IMPRESIONES DE VIAJE
Il nostro tour herreño ci ha lasciato una marea di impressioni positive e si aggiunge prepotentemente nella top 5 delle mete in cui tornare. I vantaggi del visitare quest'isola amena sono molteplici: innanzitutto è piccola, ben collegata (in pochi minuti si può andare da un estremo all'altro) e si può girare comodamente tutta in pochi giorni e nonostante questo offre un sacco di cose da fare e vedere. Se si è appassionati di trekking, inoltre, l'intera isola è totalmente attraversata da sentieri ben segnati e per ogni livello di difficoltà. Gli elementi naturalistici sono altamente caratterizzanti e sorprendenti, assolutamente da vedere! Se invece cercate movida ed elementi di divertimento notturno come ciò che si sente per Tenerife o per le più grandi isole Canarie, lasciate stare: andate a fare lo schifo altrove. Altro vantaggio è la scarsa presenza di turismo molesto (e la quasi totale assenza di quegli italiani che purtroppo all'estero spesso danno il loro "meglio"). Parlando dal mero punto di vista dell'economia, il costo della vita è basso e con pochi euro si mangia benissimo, si beve da Dio e si dorme ad alti livelli; la benzina poi è al di sotto dell'euro al litro. Il clima è tropicale e anche se trovate vento o brutto tempo, sul versante opposto al vostro troverete invece condizioni meteoclimatiche ottimali (grazie alla presenza a centro isola del Pico Malpaso e ai suoi 1500m di altezza). La gente del posto è amichevole ed accogliente e anche se non parlate altre lingue all'infuori della vostra, sanno capirvi e aiutarvi. Gli svantaggi sono pochissimi e collegati più che altro alla morfologia dell'isola: vi sono alcune strade poco praticabili con normali utilitarie ma solo con le 4×4 (o la nostra povera i10). Altra particolarità riguarda gli uffici postali: essi hanno orari particolari in quanto spesso trattandosi di piccoli paesini gli impiegati si spostano tra questi nella stessa giornata. Per il resto non abbiamo avuto nessun motivo per doverci lamentare.

La Roque de Salmor all'orizzonte da Punta Grande
PS: a proposito di Tenerife, all'andata siamo stati nelle zone di Tenerife nord, molto meno turistica e caratteristica; abbiamo fatto facilmente amicizia con la gente del posto e ci ha lasciato una buonissima impressione. Al ritorno invece abbiamo fatto tappa nella parte sud, quella famosa per il turismo delle Canarie: sembrava di stare sulle coste adriatiche all'altezza di Rimini o Riccione, con gli ecomostri e i palazzoni a ridosso della costa e con le vie piene di negozi, bar, locali per la movida; ed ovviamente la lingua più parlata dopo lo spagnolo è l'italiano: molti nostri connazionali si trovano lì per lavoro e non solo come turisti.