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venerdì 8 luglio 2016

Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino.

"Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino" è il libro che tutti, almeno una volta nella vita, dovremmo leggere. Alcuni brani sono stati inseriti persino nelle antologie scolastiche ed è uno tra i testi più tradotti della narrativa mondiale. Ho avuto modo di leggerlo qualche anno fa e, ritrovandolo in rete, ho deciso di leggerlo di nuovo. Rileggere i libri a distanza di tempo vuol dire cogliere ulteriori sfumature che possono sfuggire ad una prima analisi.

La protagonista delle vicende narrate è Christiane F. che racconta, con un linguaggio crudo e diretto, la sua adolescenza e quella dei suoi coetanei, nella cupa Berlino degli anni '70.

Il libro è nato da un’intervista condotta per due anni a Christiane da parte di due giornalisti Hermann e Rieck.
Il racconto si apre con l’infanzia travagliata della protagonista, con un padre instabile e violento e una madre troppo insicura. Christiane entra nel mondo delle droghe leggere a soli 12 anni e poco dopo anche in quello dell’eroina.
Pagina dopo pagina si percepisce quasi un senso di ricerca della felicità effimera, una scappatoia dal degrado affettivo in cui Christiane e i suoi amici sono inghiottiti.

Un incalzante meccanicismo scandito da “Mi drogo, mi disintossico, vado a battere alla stazione, mi drogo di nuovo” suscita una profonda angoscia in chi legge, poichè ci si aspetta una routine tipica di una ragazzina spensierata che a tutto dovrebbe pensare tranne che a bucarsi.
Leggendo si percepisce sempre di più lo sconforto di chi sogna e poi distrugge da solo i suoi sogni rendendosi conto della loro assurdità; chi si autoconvince di stare bene, chi prova una disintossicazione dopo l’altra, fallendo ogni volta in un modo diverso.
Il suo approccio a tutta la vicenda è molto strano, forse troppo schietto per una bambina di quell'età. In alcuni punti del racconto tenta un’auto analisi, anche molto profonda, ma il tono è quasi rassegnato come a dire “Tanto prima o poi ci ricadrò”.

I rapporti con le persone intorno a lei sono principalmente relazioni tra eroinomani (per esempio con le sue amiche Stella e Babsi); anche quella con Detlef, il suo ragazzo, per come si prospettava all’inizio quando l’eroina non era ancora la parte più importante delle loro vite.

Il finale, seppur lasci un barlume di speranza, nasconde una rassegnazione da brividi, tanti spunti di riflessione e molti interrogativi. Una storia più che mai attuale che rinnova i riflettori su una piaga che, dagli anni Settanta, resta oggetto di indagine della moderna sociologia e non solo.

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